Nonna, ti spiego la crisi economica

Nonna, ti spiego la crisi economica
Nonna, ti spiego la crisi economica

Nonna, ti spiego la crisi economica

 Ed. e- saggi


Per capire cosa sta succedendo, dobbiamo capire un paio di cose prima. Abbi pazienza. Allora: prendi una nazione e pensa a come è fatta. C’è un territorio con delle frontiere, e dentro ci sono solo due cose: il governo e tutta la sua roba, cioè le sue proprietà, aziende, uffici, scuole, ospedali, ecc.; e il resto dei cittadini privati, con le loro proprietà, le loro aziende, uffici, negozi ecc. e la gente che lavora. Quindi in una nazione c’è il settore governativo pubblico, e il settore dei cittadini privati. Non ce ne sono altri.

Dopo aver rivisto un intervento molto grintoso in tv di un giornalista che non ricordavo, ho voluto leggere uno dei pdf presenti sul suo sito per esaminarne il pensiero. Mi sono però fermato a questa conversazione con la nonna, ritenendola, anche se atecnica, sufficientemente esaustiva. Paolo Barnard seduce e convince la nonna con le sue teorie, soprattutto la indottrina ripetendo costantemente alcuni presupposti sui quali man mano evolvono delle conseguenze. La nonna è costantemente persuasa anche a fronte della preesistente ammirazione per gli studi svolti dal nipote in una formula che offre efficacia a questo lavoro ed una vena triste e angosciante che accompagna tutte le teorie complottiste che ci vestono da inermi e impotenti. Se,però dovessimo vestire i panni della nonna, con quel poco che abbiamo studiato, di Keynes e da Keynes in poi, sbagliando, perché secondo l’autore già vittime della disinformazione dilagante e di una già forviante formazione imposta dalla elite che oggi ci impoveriscono, qualche considerazione la faremmo, di quelle semplici che vengono in mente e immaginiamo possano essere smontate con un “non hai studiato abbastanza” o “non puoi capire”, ma che pur vengono sostenute da altra dottrina.

La teoria di Paolo Barnard si sviluppa su alcune questioni essenziali:

Uno Stato sovrano può stampare moneta ed immetterla in circolazione senza limite alcuno

In realtà, – ci indottrina il testo – un tempo lo Stato sovrano emetteva moneta come corrispondente delle proprie risorse auree che restavano bene a garanzia degli impegni assunti di poter offrire un “controvalore”. <<Dagli anni ’70 in poi, grazie a degli accordi internazionali, gli stati internazionali potevano creare moneta dal nulla, inventandosela >>. La teoria che la moneta possa essere emessa dal nulla in modo che ad ogni banconota diamo il valore che “decidiamo” che essa abbia, lascia molto discutere in questi tempi: se non vi sono beni a garanzia, se un paese non offre corrispondenti garanzie di solvibilità, la moneta immessa, ancorché emessa dallo stato sovrano, perde inevitabilmente valore sul mercato e diventa carta straccia. Ricordo qualcosa sulla circolazione di moneta che però non prescriveva che essa avesse tout court un valore corrispondente ed infatti mi sembra che la moneta emessa da uno Stato si confronti con il suo potere d’acquisto e con quelle di altri Stati, sui mercati internazionali. La teoria secondo la quale uno Stato non può andare in bancarotta perché non deve i soldi a nessun altro, pur avendoli inventati dal nulla, che ripaga gli interessi di un debito contraendone un altro come se essi non si cumulassero nel debito pubblico, che i soldi sono solo numerini che si spostano, non sembra considerare che ogni Stato, ancorché sovrano, è un attore del mercato internazionale e che sul mercato, ci sembra di poter dire, la sua credibilità si riverbera sul valore riconosciuto alla moneta da esso emessa al pari del valore delle azioni di un’azienda privata; allo stesso modo rileva il “peso” della moneta ovvero il suo potere d’acquisto. Insomma: stampare denaro dal nulla può risolvere i problemi legati alla circolazione di moneta, ma non al loro effettivo valore su un mercato globale se non supportata essa moneta da corrispettive riserve di valore indiscusso; indebitarsi emettendo titoli di stato consente di investire ma accumula interessi passivi. In tal senso, infatti, lo stesso Barnard accusa le banche private di aver fatto un gioco sporchissimo creando denaro dal nulla come fosse denaro vero, in pratica quello che suggerisce proprio come virtuoso per gli stati, come se essi non dovessero rispondere a nessuno e come se gli investimenti esteri nel paese non subissero l’influenza della credibilità del governo del paese sul piano internazionale come avvenuto anche in Italia anche prima dell’euro.

Il problema dell’Euro, e qui ci troviamo concordi, è nel fatto che gli Stati non possono produrre moneta e segnare a debito ma lo prendono in prestito da fondi privati, dalle banche. Meglio quindi che vi provvedevano gli stati anziché le banche, suggerisce Bernard, ma sempre debito erano! Se lo stato richiedente è già indebitato vengono chiesti interessi maggiori, e si scatena una spirale senza fine. Questo è un pericoloso frutto del trattare uno stato come un’azienda, ma continuiamo a non condividere che il debito pubblico sia fasullo ovvero inesistente perché <<lo Stato moderno si indebita solo con se stesso>> oppure che ai tempi della lira <<un riccone straniero non aveva problemi a darci i suoi soldi, cioè a comprarci un nostro titolo di Stato>> perché c’era sempre in gioco la credibilità dello Stato sul mercato internazionale ed infatti gli investimenti stranieri in titoli di Stato si sono sempre misurati come grado di credibilità del governo nazionale sul panorama internazionale. Ci sono in gioco quindi due aspetti diversi: quello della sovranità ceduta dagli stati all’Unione Europea, che li costringe a chiedere fondi e ad un deleterio pareggio di bilancio, ma anche quello non considerando che la sovranità dello stato ha peso in ragione della sua credibilità sul piano internazionale: se ogni stato in quanto tale potesse creare ricchezza dal nulla, senza doverne dare ragione con le proprie risorse, non esisterebbe al mondo la povertà e quindi tutto questo convince poco. Allo stesso modo Bernard liquida in due righe la perdita del potere d’acquisto della moneta, e quindi l’inflazione come un timore infondato.

Il debito pubblico sarebbe la ricchezza dei cittadini e delle imprese

La credibilità dello stato, come dicevamo, è un’esigenza che viene del tutto ignorata, allorquando si afferma che il debito pubblico dello stato è la ricchezza dei suoi cittadini, guardando soltanto al suo interno. E’ vero che ciò che investe lo Stato diviene ricchezza per i cittadini corrispondente in servizi e quindi migliore qualità della vita, vero è anche che il debito pubblico in capo allo stato in Italia era una scelta di politica economica che non ha inficiato sul benessere dei cittadini che oggi sono ridotti in miseria perché devono ripagarlo. Il discorso, però, che uno Stato può segnare costantemente a debito del proprio bilancio qualsiasi cifra senza limite alcuno, soltanto perché stampando moneta non deve dare conto a nessuno, sembra francamente una pura illusione. Sarebbe preferibile che a stampare moneta fossero gli stati, piuttosto che essere costretti a richiederlo a fondi privati, ma anche se non dovesse richiederlo e dare conto alla comunità internazionale di cui fanno parte, resterebbero comunque soggetti alle regole del mercato internazionale. In questo senso i cambi fissi tendono addirittura a bloccare la deflazione della moneta debole che, ancorché emessa da uno stato sovrano ma non considerato affidabile, perderebbe progressivamente valore sul mercato. Ricordiamo che lo stesso Craxi dichiarò che un grande paese come l’Italia avrebbe dovuto richiedere ed ottenere un tasso di cambio fisso europeo più vantaggioso per la lira.

Il debito pubblico diventa anche il profitto delle aziende, il “debito buono” che produce ricchezza, non il “debito cattivo” con cui si riparano i disastri. Certo, condivisibile, se il “debito buono” è il nome che si dà all’investimento. Secondo Barnard sarebbe solo lo Stato in grado di compiere investimenti immettendo risorse nel sistema per mezzo del debito pubblico ed alimentare così il circolo chiuso di famiglie e aziende nelle quali esse sostanzialmente si scambiano risorse alla pari. Ci sembra invece, pur sapendo che solo lo stato sopporterebbe le perdite di servizi essenziali e non lucrativi, che il criterio del moltiplicatore degli investimenti secondo il quale un investimento produce ripetutamente ricchezza, vale per ogni investimento immesso sul mercato, non solo per l’investimento dello Stato, che quindi i benefici dell’investimento siano da riconoscersi a qualsivoglia investimento anche quello svolto da un soggetto privato, come immissione benefica nell’economia del Paese. In quest’ottica quindi, se il privato non investe dove non v’è lucro è pur vero che contribuisce con l’investimento ad una migliore economia del paese.

I poteri forti

Il testo riferisce come macabra l’applicazione delle teorie di David Ricardo, Milton Friedman e Cecil Pigou e che la Comunità Europea sarebbe il frutto di leggi più forti imposte dalle elite per sottrarre le monete sovrane agli stati ed impedire che gli stati spendessero per i loro cittadini, sostenendo che se invece fossero rimasti sovrani avrebbero potuto anche controllare l’inflazione. In realtà, il problema della sovranità degli Stati ceduta all’Unione Europea per mezzo dei trattati internazionali, si pone, non solo in termini economici, ma anche in termini giuridici ed influisce sulla vita dei cittadini, ma anche in questo caso, non può risolversi nei termini in cui lo stato sovrano è unico attore del mercato globale e non deve dar conto a nessuno. A favore della nostra considerazione sul pericolo dell’inflazione che lo Stato non può controllare, Barnard cita infatti George Soros che avrebbe inondato i mercati di sterline per mandare in bancarotta l’Inghilterra. La vendita o svendita di tutte le aziende di proprietà dello Stato che fungevano da garanzia ripropone il problema che anche lo stato sovrano necessità di una credibilità che esso possa far fronte ai debiti: difficile dire se essa sia stata la causa del nostro impoverimento o la conseguenza della pressione fatta per imporre allo Stato italiano di venderle per “far cassa” e pagare il debito pubblico.

La crisi sarebbe voluta e imposta dai grandi produttori per abbattere i costi del lavoro e renderli concorrenziali rispetto al mercato cinese e potersi proporre sui mercati della Cina, Brasile, America, Giappone, India; i poteri forti <<hanno tolto allo Stato […] il potere di creare ricchezza […] con la spesa a debito buono, […] potere […] diventato esclusivamente di pochi miliardari privati>>.

Chi ha creato la crisi con la sua ricetta – ci dice l’autore – propone ancora quella ricetta perché <<non ne avete presa abbastanza>> ed aggrava continuamente la situazione in un gioco a spirale. Bernard indica due gruppi: uno che punta alla riduzione del costo del lavoro per aggredire mercati emergenti e l’altro che punta ad accaparrarsi servizi essenziali forniti dallo Stato per avere i clienti garantiti. Gli speculatori si inventavano <<trucchi contabili complicatissimi che nessuno capirà>> per prendere per il collo interi stati, le super banche moltiplicavano soldi fittizi. Occorreva una crisi per abbassare i salari, per costringere lo stato a cedere i servizi ai privati per fare cassa, per impoverire gli stati, quindi una crisi imposta e pilotata. <<Le elite […] hanno sguinzagliato i loro predicatori […] con le ricette economiche che […] creano crisi su crisi>>.

Unico rilievo è che sembra fondato che questa sia una crisi imposta e non dovuta ad un particolare accidente di un qualcun tipo, che il nostro paese stia soccombendo perché i cittadini sono stati costretti a pagare di tasca propria il pareggio di bilancio che nell’ottica di stati che devono pareggiare i bilanci come le imprese ,impedisce di accumulare debito in base alla loro credibilità. Una stretta economica dovuta al fatto che la politica ha ceduto il passo all’economia ed in un’ottica globale, perché globale è il mercato che viviamo ai giorni nostri. Lontani i tempi in cui uno stato poteva dire “porto a debito perché son chi sono”, ed il mercato globale sarebbe gestito dai c.d. “poteri forti”. Anche il riferimento ai “poteri forti” nel testo non vale ad identificarli e smascherarli, né qui si propone una soluzione.

Come dicevamo all’inizio, il carattere complottista del lavoro, proposto in chiave divulgativa “a chi non può capire” ci offre la sola possibilità di sentirci schiavi di una componente occulta e onnipotente e non propone soluzione alcuna. Alle fin fine sembra che anche dissentire da questa visione della realtà sia frutto del potere dei “poteri forti”. E quindi per questa via ci si trova o ignoranti o inconsapevoli, ma comunque schiavi. Che tristezza!!!

Giulio della Valle

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